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Arte e Ambiente, Chimica dell'Ambiente, ecosostenibilità, Professore Università di Bologna, Salvatore Lorusso, UniversitàBologna
L’uomo, anche se appartiene alla natura e segue le sue leggi biologiche, aspira ad un mondo diverso, ad un mondo ideale in cui vi siano anche giustizia, amore, felicità, bellezza e, in base a tale ideale, giudica se stesso e la natura. E’ pur vero che molti studiosi affermano che il mondo oggi è dominato dal nichilismo (gnoseologico di cui è fautore lo scettico, ed etico in cui sfocia il relativismo morale), che sono crollati i valori e l’idea stessa che la vita abbia uno scopo, che i concetti come fine, dovere, volontà, sforzo, colpa, merito, responsabilità sono privi di senso. L’ uomo perciò è, nello stesso tempo, dentro e fuori la natura: come oggetto della scienza è dentro la natura, come possessore di coscienza ne è fuori, vive nel mondo della cultura, dei valori e della libertà, i cui principi possono comunque contemperare quelli della scienza.
Nella vita si agisce, ci si adopera ponendo mete e nutrendo sogni e aspirazioni. Al riguardo la scienza può spiegarli con processi biologici e chimici, nonché manipolarli e modificarli. E’ indubbio però che la decisione è sempre degli uomini mossi da desideri, sogni, valori, ideali.
E’ quanto fa presente il World Wide Found che, d’altra parte, sottolinea: «La natura non sostiene l’impronta umana». Ovvero vi sono sulla scena internazionale oltre 1 miliardo di nuovi consumatori ed è evidente che fuori dai sistemi naturali non possiamo vivere e che l’impronta umana è superiore alle loro capacità rigenerative e ricettive.
D’altra parte è anche quanto sostiene il Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio (D.L. n. 42 del 2004), in cui si precisa che il patrimonio culturale è costituito non solo dai beni culturali ma anche dai beni paesaggistici, ossia da tutti gli immobili e le aree che esprimono i valori culturali, storici, estetici, sociali, naturali, morfologici e tecnici del territorio.
Ne deriva che il suddetto Codice, nel far presente l’importanza di superare la “dicotomia fra la sfera economica e quella socio-culturale” grazie all’etica, sottolinea che ciò comporta l’azione della persona che, nell’atto individuale, decide sulla base di “valutazioni socio-culturali”, e, quindi, nel rispetto verso gli altri e verso l’ambiente nella sua interezza: da qui l’ecosostenibilità.
Così non è stato invece nell’attuale crisi internazionale, crisi economica e di valori, in quanto la bramosia di accrescere il proprio capitale ha annullato ogni positivo riferimento etico in tutti i campi, compreso quello della tutela e valorizzazione del patrimonio culturale.
L’antidoto è perciò quella “rete silente” che, secondo alcuni studiosi, continua ad agire nel rispetto dei principi etici per la difesa dei valori non solo della persona, ma anche delle testimonianze culturali e ambientali che costituiscono la storia e l’identità morale nel corso dei secoli.
Si tratta di un comportamento che, nell’osservanza dei suddetti principi e valori, respinge le situazioni che creano conflitti di interesse, basandosi sulla sobrietà e ponendosi la domanda, nell’atto della decisione, se vi sono conseguenze nei riguardi degli altri e dell’ambiente nella sua interezza.
Sorge a questo punto – ed è il caso di puntualizzarne il significato – l’importanza di considerare il prodotto artistico e, quindi, l’arte oltre il bello: dall’estetico all’etico.
L’arte è sinonimo di bello? Ovvero il bello è da ricondurre solo all’estetico? E l’idea dell’arte la si riduce solo a estetica? Sarebbe un idea tarda, decadente, di coloro che non l’amano o che ne diffidano o che pensano di esiliarla nella periferia della cultura.
Al contrario l’arte non è mai solamente né forzatamente bella, la sua vocazione non è decorativa, ma metafisica. Infatti cosa resta all’arte quando fugge al diktat del bello? Le resta l’intelligenza, la conoscenza, la sapienza propria alle grandi alchimie, che dà un senso a quello che non ne ha, o fa vedere perché questo senso è impossibile.
E’ possibile, quindi, affermare che nella nostra percezione il senso etico affianca quello estetico. Non è comunque facile, e non sarà mai del tutto chiarificabile, fino a che punto la fruizione di una opera d’arte sia o meno legata all’affinità, ossia a una partecipazione etica e non solo estetica: è pur vero che nella contemplazione di un opera d’arte senza dubbio interviene la partecipazione affettiva, l’espressività ovvero la componente intimistica e partecipativa, anche se per molti questa componente è spesso sostituita da quella economica o politica. Quindi bisogna rifarsi alle antiche categorie del gusto, della sensibilità nativa per le cose dell’arte ed anche della innata empatia verso la stessa.
Ma vi è oggi un altro aspetto dell’arte che si impone: tutto nell’arte deve avere un prezzo. Se una opera non ha prezzo, è perché un novero non sparuto dei cosiddetti appassionati dell’arte non ha alcuna idea di quale possa esserne il valore.
E la confusione fra prezzo e valore è una delle grandi calamità culturali della nostra epoca. L’acquisto di costosissime opere d’arte ha assunto palesemente un carattere mercantile: in un mondo di disuguaglianze sociali, per alcuni esso non è più un segno indiscutibile di conoscenza artistica o di rango sociale, in quanto il denaro ha sostituito il significato.
Nel considerare, quindi, il “prezzo” ciò che si paga e il “valore” ciò che si ottiene, è William Blake che in maniera icastica così riassume il significato e la grandezza dell’arte: «Se le parti della percezione fossero sgombrate, ogni cosa apparirebbe com’è, infinita»: ed è l’artista a metterci in contatto con questo processo percettivo.
E se da tale processo percettivo, che può riguardare il fruitore come anche lo studioso dell’opera d’arte, si passa alla valutazione da parte dell’esperto sia dello stato di conservazione sia dell’autenticità del bene, si ritiene fondamentale sottolineare come tale valutazione soggettiva – che deriva da una conoscenza stilistica, iconografica, estetica , partecipativa, emozionale promanante dall’ opera – debba necessariamente essere accompagnata da una valutazione oggettiva, basata sull’impiego di apparecchiature diagnostico-analitiche che confortino o confutino la precedente. Ci si riferisce, in particolare, all’autenticità dell’opera sia essa bene di interesse storico-artistico o archeologico o archivistico-librario: è questo l’aspetto più aderente e inerente al concetto di limitatezza cosciente delle proprie facoltà e possibilità cognitive. E’ questo l’aspetto che, nel rispetto del confronto e delle possibilità tecnico-conoscitive dei vari esperti, dà una concreta dimensione di “educazione culturale” e di “etica personale”, da ritenere fondamentali in un settore – qual è quello artistico – in cui vigono la presunzione della cultura e l’insindacabile giudizio.
Salvatore Lorusso
Nato a Bari il 9-1-1944, dal 1-11-2008 ordinario di “Chimica dell’ambiente e dei beni culturali” presso il Dipartimento di Beni Culturali, Alma Mater Studiorum Università di Bologna (sede di Ravenna).
Docente di “Restauro architettonico” e “Metodologie per la conservazione dei beni culturali”, “Metodologie per la conservazione dei beni archeologici” e di “Fisica applicata ai beni culturali”, presso lo stesso Dipartimento; di “Chimica per i beni culturali” nella Scuola di Specializzazione dei Beni Archeologici e di “Diagnostica per i beni culturali” nella Scuola di Specializzazione dei Beni Musicali dell’Università di Bologna. Membro del Comitato Scientifico “Giardini di Babilonia”