Ancora recentemente Antoine Picon metteva in luce la necessaria dialettica che, nella Smart City, ê presente tra dimensione neo-cibernetica e visione neo-umanistica.
Egli giudicava, peraltro, inevitabile anche la presenza di una certa enfasi retorica che accompagna il tema, il quale, tuttavia, in modi da interamente scoprire, preluderebbe a una diversa percezione della politica e delle politiche (urbane).
Senza dubbio la Digitalizzazione pone, radicalmente, ai Progettisti, in particolare agli Architetti, una sollecitazione intorno agli statuti, alle identità, ai ruoli.
Il Computational Design, nelle sue espressioni diverse, sembra rappresentare la versione più «tecnologicamente evoluta» sul versante architettonico, per quanto, in realtà, sempre più ordinaria, in quanto eccezionale, sempre più arbitraria, in quanto scientizzata.
Al contempo, la cultura architettonica sembra reagire, su un fronte distante, quello «socialmente evoluto» degli spazi aperti, degli spazi pubblici, della progettazione partecipativa, aggredendo il tema attraverso i valori dell’etica, della comunità, della marginalità, della partecipazione, della immancabile sostenibilità, con spazi e forme apparentemente contrapposti ai primi.
In definitiva, sia nella prima sia nella seconda espressione, le nozioni originarie, non per nulla sono edite, risalendo almeno agli Anni Sessanta.
In verità, però, alcuni di questi apparenti ossimori celano una inquietudine che si può ascrivere a un cambio di paradigma epocale a cui risposte in contraddizione rischiano, tuttavia, di offrire soluzioni paradossalmente convergenti, ma evasive.
Ciò che, quindi, si vorrebbe proporre come alternativo, come, appunto ipotesi esclusiva dell’altra (autoriale vs collegiale, centrale vs periferico, complicato vs semplificato, residenziale vs migrante, e così via), potrebbe, invece, appartenere alle medesime categorie.
Da un lato, infatti, abbiamo un committente da sedurre, dall’altro se ne ipotizza uno da coinvolgere. Da un versante, si ha l’esigenza di sottolineare l’opulenza delle risorse, dall’altro la loro scarsità.
Eppure questa antinomia, che coinvolge fondi sovrani e crowfunding, potrebbe risultare come un epifenomeno di una transizione che trasforma i termini della questione, nel senso che interroga il significato ultimo di una cesura epistemologica che muta la natura del committente, dell’utente e…dell’Architetto.
Non è, infatti, che, ad esempio, contrapponendo figure di committenza «antitetiche», evadiamo dall’interrogativo destinale inerente alla evoluzione del prodotto immobiliare e del conseguente statuto del progettista, individuale o collettivo che egli/ella sia?
In entrambi i casi, infatti, dalla geometria complessa al rammendo marginale, sono richiesti flussi di lavoro e strutture organizzative formalizzate ed efficienti, criteri di capitalizzazione industriale delle conoscenze e delle esperienze.
Ma non rappresentano, entrambi, detto provocatoriamente, una tesi «analogica» a una sfida «digitale»?