La “questione energia” è un tema soggetto alla ribalta mediatica ormai da diversi anni.
Lungi dal costituire una moda, esso assume, anzi, un rilievo sempre maggiore ed è probabilmente destinato a diventare sempre più una priorità assoluta a livello mondiale.
La ragione è presto detta: se oggi gli abitanti dei Paesi “avanzati” possono permettersi un tenore di vita molto migliore di quello possibile anche ai ricchi di qualche generazione fa, ciò avviene grazie al fatto che l’energia, oggi, costa davvero poco. Il costo dell’energia determina buona parte del costo di tutto ciò che utilizziamo. Per produrre un oggetto, serve energia: pensiamo all’estrazione delle materie prime, al trasporto delle stesse, all’eventuale fusione, stampaggio, ecc., fino al trasporto dell’oggetto finito verso i negozi adibiti alla distribuzione. Se l’energia costasse cara, potremmo permetterci ben poco di ciò che oggi utilizziamo ed acquistiamo in abbondanza.
Dei circa 180.000 miliardi di kWh di energia che l’umanità usa in un anno, oltre l’80% deriva dalle cosiddette “fonti fossili” (petrolio, carbone, gas naturale). Dalla rivoluzione industriale in poi, l’uomo si è focalizzato sui modi sempre più efficienti di utilizzo di queste fonti energetiche primarie al fine di ottenere energia “utile” a costi sempre più bassi. Un litro di petrolio costa solo mezzo euro, quanto una bottiglia di comunissima acqua da bere. Ma in un litro di petrolio sono concentrati ben 10kWh di energia (circa), una quantità corrispondente a quella che il corpo umano può sviluppare in almeno una settimana di duro lavoro.
Bene! Allora perché indaffararsi per cercare di cambiare le cose, anziché mantenere lo status quo? Ci sono diversi motivi per farlo. Ne illustro due, a mio avviso prioritari. Cominciamo con l’inquinamento. Una centrale termoelettrica ordinaria da 1GW (“GW” significa giga-watt, un miliardo di watt, quella di Montalto di Castro sviluppa una potenza di 3,6GW) immette ogni giorno nell’atmosfera circa 20.000 tonnellate di anidride carbonica, 300 tonnellate di ossidi di azoto e di zolfo, 5 tonnellate di ceneri disperse. Fa male alla salute nostra e a quella del pianeta? Io sostengo di sì, ma non espongo qui le ragioni di questa posizione, per dare precedenza a considerazioni generali. Mi riservo di riportare in un altro intervento una trattazione più approfondita e dedicata. Anche non considerando le questioni ambientali, esiste un altro motivo, forse ancor più importante, che ci deve spingere a trovare alternative all’uso dei combustibili fossili: le riserve sono limitate. Quanto limitate ancora non lo sappiamo bene, ma se il problema non riguarderà direttamente noi, sarà sicuramente affare urgente per i nostri figli e nipoti. Alle alternative dobbiamo lavorare da subito, sapendo che si tratta di un compito fondamentale.
Che fare? Non vi è qui lo spazio per condurre un’analisi seria sulle strategie di intervento nel settore energetico. Ci limiteremo ad alcune rapide considerazioni. È stato accertato che, mediamente, il cittadino europeo ritiene che il maggior dispendio energetico sia quello elettrico. In realtà, ciò impatta solo per il 10% (circa) del totale dei consumi. In Europa, il valore principale è costituito da riscaldamento domestico e trasporto (entrambi a quota 30%). Questi dati sono importanti perché ci dicono che in Italia abbiamo la possibilità di intervenire in modo efficace nella questione energetica: siamo i primi, fra i 20 paesi europei, per emissioni di CO2 e consumo energetico imputabile all’edilizia (17,5% del totale europeo). Ciò deriva dal fatto che siamo terz’ultimi nella qualità della coibentazione termica dei fabbricati. Insomma, le nostre case sono un colabrodo energetico. Con i moderni materiali e le nuove tecnologie per l’edilizia, è possibile ridurre di almeno il 90% il consumo energetico delle abitazioni, a costi assolutamente accessibili, anzi, anche minori dell’edilizia tradizionale quando si lavora sul nuovo. È quindi auspicabile, se non indispensabile, un grande piano di intervento ed incentivazione per migliorare drasticamente questa situazione, causa di sprechi di una quantità di energia ben superiore a quella ipotizzabile da un piano ultradecennale di rilancio del nucleare. La riqualificazione energetica dell’edilizia italiana è un dovere per tutti, è un’opportunità di risparmio economico per il cittadino ed è una grande occasione di investimento finanziario e sviluppo imprenditoriale per gli operatori del settore.
Vi è poi la strada delle fonti rinnovabili. Citerò solo il solare. Di energia solare diretta ne abbiamo a disposizione fin troppa: in un quadrato di deserto di 220 km di lato, arriva in un anno tanta energia quanta ne consumiamo in tutto il mondo nello stesso periodo. Gli incentivi per il fotovoltaico e le centrali solari a concentrazione hanno dimostrato che il costo dello sfruttamento diretto dell’energia solare è probabilmente destinato, in tempi brevi (nell’ordine di poche decine di anni), ad essere competitivo con quello delle fonti fossili.
In conclusione, in un periodo così difficile per l’economia nazionale e globale, le nuove tecnologie per l’efficienza energetica e per le rinnovabili rappresentano una straordinaria opportunità di crescita economica e non solo. Molto, anzi moltissimo c’è da fare, ma proprio nelle situazioni di ricostruzione e ristrutturazione generale, tipo quelle dell’immediato dopo guerra, stanno le maggiori possibilità di ripresa e sviluppo. Crediamo che in questa direzione si debbano concentrare gli sforzi per incentivare, sia a livello amministrativo sia finanziario, il decollo di questo settore. L’Italia dispone di tutte le carte in regola, sia per quanto riguarda le tecnologia d’avanguardia, sia per quanto riguarda la presenza di imprese adeguate, per potere partecipare da protagonista a questa nuova rivoluzione culturale, economica e tecnologica, che col tempo assumerà dimensioni globali. Ci auguriamo che politica, imprenditori e investitori italiani abbiano la capacità di cogliere l’essenza e le dimensioni di questa forse ultima grande chance che ci viene data.
Marco Bianucci – Ricercatore del CNR