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Articolo9_Comunità di vicinatoIl cohousing e tutte le forme collaborative oggi nascenti anche in Italia si inseriscono all’interno di una visione alternativa dell’economia, definita impact economy, che implica che le finalità sociali siano parte della valutazione di investimento in operazioni di creazione e sviluppo dei beni e dei servizi.

L’impact investing è un’attività di investimento in imprese, organizzazioni e fondi che operano con l’obiettivo di generare un impatto sociale misurabile e compatibile con un rendimento economico.

L’impact investing si distingue per:

  • l’intenzionalità dell’investitore di generare un impatto sociale;
  • l’aspettativa di un rendimento economico che motiva l’investitore;
  • la flessibilità del tasso di rendimento atteso che può posizionarsi al di sotto del livello medio di

mercato o allinearsi ai rendimenti di mercato;

  • la varietà degli strumenti finanziari utilizzati e delle forme di intervento che spaziano dal debito

all’equity puro;

  • la misurabilità dell’impatto, fondamentale per assicurare trasparenza e accountability.

È necessario fare una netta distinzione tra cohousing e social housing, poiché il secondo si rivolge a fasce sociali non in grado di soddisfare il proprio bisogno abitativo sul mercato, principalmente per ragioni economiche, ma allo stesso tempo prive delle caratteristiche per accedere agli alloggi popolari (la c.d. “fascia grigia”). In questo senso il social housing propone interventi a locazione permanente a canone calmierato, “svolgendo la funzione di ridurre il disagio abitativo di individui e nuclei familiari svantaggiati, ovvero non in grado di accedere alla locazione di alloggi nel libero mercato” (Decreto ministeriale del 22 aprile 2008).

Il cohousing invece è una forma di aggregazione libera di cittadini tendenzialmente in grado di autosostenersi a condizioni di libero mercato, che pone l’accento sull’impatto sociale (creazione di servizi) che queste forme abitative riescono ad attivare: ciò che oggi si definisce “second welfare” [1] a cui la Pubblica Amministrazione dovrebbe porre particolare attenzione poiché crea forme di mutuo sostegno e svolge attività utili alla collettività in senso ampio, offrendo occasioni di lavoro, sviluppo e arricchimento personale e servizi alla collettività.

Anche se entrambi, dunque, hanno un notevole impatto sociale in senso positivo, il social housing si rivolge solo ed esclusivamente ad alcune categorie (deboli) ben determinate, il cohosuing privilegia l’intenzionalità e la creazione di servizi, con ciò aprendosi a tutte le categorie socio-economiche e quindi favorendo il mix sociale propedeutico proprio alla fattibilità delle operazioni e alla risposte alle esigenze delle comunità.

In particolare

  • Il cohousing si propone come soluzione per garantire l’accesso, attraverso la proprietà comune e/o la realizzazione di economie di scala, a beni e servizi di utilità privata ma anche sociale. Infatti promuove la realizzazione di spazi condivisi ad uso comune (come: lavanderia, magazzino, spazi per ospiti, spazi conviviali, per attività culturali) promuovendo di conseguenza la cultura dei servizi condivisi (car sharing, micronido, servizi per anziani e per la salute, accoglienza di categorie deboli, gruppi di acquisto solidale, ecc.) aperti anche alla comunità circostante.
  • Ciò avviene anche attraverso la condivisione, il supporto reciproco, l’organizzazione di modelli di compensazione e la riscoperta delle pratiche di economia non monetaria dello scambio.
  • Risponde ad esigenze quali il non consumo di territorio e il recupero di immobili dismessi, il risparmio energetico.
  • Promuove i principi di collaborazione e socializzazione dove il mix sociale è considerato un valore e perciò coinvolge anche di fasce considerate più deboli con logiche costruttive e di sostegno reciproco.
  • Promuove i valori della convivenza, della democrazia partecipata basata sul consenso (il rispetto dell’altro e del diverso, l’educazione alla reciproca accettazione, alla solidarietà e al sostegno intergenerazionale, anche con riguardo verso soggetti deboli).
  • Responsabilizza, attraverso la progettazione del proprio habitat, al rispetto del bene comune, dell’ambiente, dell’uso sostenibile delle risorse.
  • Promuove la diffusione dei metodi di progettazione e di costruzione alternativi, inclusivi, qualitativi e a costi accessibili (rapporto qualità/prezzo).
  • Crea occasioni di lavoro per gli abitanti e di servizio alla cittadinanza. È aperto alla comunità circostante e si configura quindi come modello di iniziativa sociale da parte dei privati cittadini e costruzione di un sistema di rete di servizi del “second welfare”.

Nadia Simionato

[1] “Sempre più spesso in Italia nascono e si sviluppano programmi di protezione e investimenti sociali a finanziamento non pubblico che si aggiungono ed intrecciano al “primo welfare” di natura pubblica ed obbligatoria, integrandone le carenze in termini di copertura e tipologia di servizi. Questo “secondo welfare”, generalmente caratterizzato da un marcato radicamento territoriale, coinvolge una vasta gamma di attori economici e sociali quali cittadini, imprese, sindacati, enti locali ed il Terzo settore, creando un sistema ancora embrionale ma dotato di grandi potenzialità.” (Maurizio Ferrera e Franca Maino, Il “secondo welfare” in Italia: sfide e prospettive, Febbraio 2011)