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Rubrica a cura di Angelo Luigi Camillo Ciribini
Nel processo di riforma legislativa relativo ai Contratti Pubblici, specie per quanto attiene al Settore delle Costruzioni, la dimensione processuale, del Processo letteralmente, appare di grande significato sotto il duplice profilo della Legalità e dell’Efficacia, poiché in essa convergono, e si confrontano, le due grandi tradizioni dei Lavori Pubblici, quella giuridico-amministrativa e tecnico-organizzativa, come attesta la stessa storiografia sulla Amministrazione Pubblica e segnatamente sul Ministero dei Lavori Pubblici, dagli esordi unitari.
All’interno di questo contesto, la Digitalizzazione può svolgere un ruolo determinante in quanto è in grado di assicurare la trasparenza dei flussi informativi in maniera convergente tra esigenze di Legalità ed esigenze di Bancabilità, le due polarità principali che indicano la credibilità di un mercato.
Della Digitalizzazione, la Modellazione Informativa, che nel testo di recepimento delle Direttive Comunitarie relative ai Contratti Pubblici della Repubblica Federale Tedesca è addirittura menzionato col proprio acronimo originale (Building Information Modeling), costituisce solo la porta di accesso, un semplice aspetto, sul lungo periodo, tanto necessitato quanto marginale.
Esso, però, nel breve e nel medio termine, sta acquisendo un valore iconico, persino evocativo, che rimanda, tuttavia, a una duplice accezione: quella legata ai metodi e quella legata agli strumenti.
Prima di procedere oltre sul filo di questo ragionamento, occorre osservare, con estrema onestà intellettuale, che le prassi collusive e corruttive che hanno contraddistinto in Italia Appalti e Concessioni rappresentano un comune denominatore strutturale e che, andando esse a inficiare l’efficienza dei mercati, derivano da un costume e da un apparato mentali consolidati e pervasivi, che trascende il piano giudiziario, così come il familismo connota la storia della società italiana.
Ciò pone non poche questioni di principio, nel senso di differenziare l’ambito domestico da altri comunitari, con le evidenti ricadute in termini di attrattività degli investimenti privati esteri e di reputazione internazionale del mercato medesimo.
Per un altro verso, però, uno dei maggiori deficit, una delle maggiori carenze che affliggono i Contratti Pubblici autoctoni riguarda la scarsa diffusione delle metodologie gestionali del Project e del Programme Management.
Si tratta, in effetti, di una disciplina che, nel suo corpo dottrinale consolidato, è stata sottoposta in contesti internazionali a severe critiche in materia di determinismo, ma che, comunque, è stata scarsamente conosciuta e praticata dai Responsabili Unici dei Procedimenti in Italia se non nelle forme esternalizzate di supporto.
La questione fondamentale attiene, però, alla individuazione della causalità che intercorre tra cattivi esiti nella Gestione dei Lavori Pubblici e pratiche illegali e illecite, nel senso che è convincimento di molti che i primi siano il frutto intenzionale delle seconde.
Ora, se è vero che tali prassi non contribuiscono certo all’efficienza dei processi gestionali, è, però, altrettanto, veritiero che l’insoddisfacente risultato conseguito nella Gestione del Progetto da parte dei Committenti Pubblici è in gran parte piuttosto ascrivibile a una notevole dequalificazione degli stessi, cosicché, sotto questo profilo, l’Illegalità, la quale in essa trova terreno fertile, finisce col giustificare anche lacune non da essa generate.
Di conseguenza, per certi aspetti, l’interpretazione secondo cui la disintegrazione dei ruoli e delle fasi temporali, salvaguardando l’identità degli operatori economici, garantirebbe un miglioramento gestionale rischia di risultare equivoca.
In definitiva, la Digitalizzazione, che si basa indubitabilmente su strumenti, non ha altra ragione che quella di supportare la Gestione del Progetto e del Programma e trova i suoi fondamenti negli aspetti organizzativi e nelle strutture contrattuali.
Gli strumenti, del resto, risultano decisivi esclusivamente solo in virtù del fatto che la complessità degli investimenti pubblici, non solo in conto capitale, implica un livello di rischiosità per il Committente e per i suoi Finanziatori da richiedere livelli di conoscenza e soluzioni contrattuali e organizzative innovative: collaborative e integrate, in particolare modo.
Ecco perché l’innovazione tecnologica, di per se stessa, è condizione certamente necessaria, ma assolutamente non sufficiente, affinché avvenga un cambio effettivo di paradigma.
I tratti sensibili, che spiegano la trasformazione dei processi sono imputabili a una mutata essenza del prodotto immobiliare e infrastrutturale, che perde la propria ragione d’essere al di fuori del ciclo di vita dell’opera, che si fa evolutiva e flessibile, ponendosi al crocevia tra transizione energetica, transizione digitale e transizione sociale.
Tutto ciò pone, pertanto, un quesito non trascurabile rispetto a una impostazione antitetica, secessionista, che tende a distinguere, a separare, in ragione del contrasto alla Illiceità.
Ora, se è vero che le forme contrattuali di tipo relazionale più avanzate difficilmente possono essere trasposte nell’ordinamento nazionale, e sinanche in quello comunitario, senza scadere in atteggiamenti collusivi, è altrettanto vero che l’avverbio «radicalmente» che nella Legge Delega tende a limitare l’Appalto Integrato, suona come antitetico rispetto a una evoluzione culturale e industriale del Settore che, appunto, verte sui principî della Collaborazione e dell’Integrazione.
La natura medesima della Modellazione Informativa e, più decisamente ancora, di tutte le altre forme conseguenti della Digitalizzazione, ispirate alla Connettività, non consente, infatti, di rivelarsi congruente con una concezione tradizionale, a compartimenti stagni, tipica della storia del Settore delle Costruzioni.
La Digitalizzazione, in effetti, sembra, inoltre, collidere con le micro-dimensioni della professione e dell’imprenditoria, laddove, peraltro, il processo aggregativo delle Stazioni Appaltanti e delle Amministrazioni Concedenti risulta ormai avviato.
Ancora una volta, le condizioni confrontazionali e antagoniste caratteristiche delle soluzioni organizzative e contrattuali tradizionali, atomizzate, separate, frammentate, si palesano come inadeguate, inattuali, rispetto alle logiche finanziarie che presiedono alle forme che vanno dal Contratto di Disponibilità al Partenariato Pubblico Privato.
Sotto questo profilo, il Codice dei Contratti Pubblici, al di là della tutela della piccola e media imprenditorialità, che è, comunque, cosa ben diversa dalla micro imprenditorialità, non può non divenire anche istrumento di una politica industriale, non può restare veramente neutrale, non può più ignorare che le forme tradizionali, legate all’Appalto di sola Esecuzione, potrebbero progressivamente ridursi a minoritarie.
Insomma, la razionalità che spinge i principali governi comunitari, e non solo essi, a indirizzare il Settore dell’Ambiente Costruito nell’ottica di una decisa Digitalizzazione risiede non solo nel recupero di efficienza, ma, soprattutto, nell’insostenibilità dell’approccio consueto rispetto alla natura del prodotto e alle logiche sociali e finanziarie che lo generano.
Qui, del resto, possono saldarsi le istanze della funzione committente con quelle di coloro che si occupano del finanziamento dell’opera e della sua regolarità.
In questo frangente, purtroppo, si avverte tutto il disorientamento di alcune rappresentanze professionali che, versando in una crisi drammatica, rifuggono, tuttavia, dal trarre le debite conseguenze dalla Digitalizzazione della Società e dell’Economia e tentano, sotto denominazioni quali Rigenerazione Urbana o Edilizia Sostenibile, di rendere compatibile uno stato congelato delle cose con dinamiche trasformative epocali.
Il risultato finale della Digitalizzazione è, quindi, quello di assicurare condizioni di tracciabilità dell’intera catena di fornitura entro un apposito Ecosistema Digitale.
Ma tale tracciabilità, oltre che assicurare flussi informativi trasparenti e flussi decisionali efficaci, non può pretendere di rendere deterministici e meccanicistici i Processi che, anzi, si faranno sempre più probabilistici.
Se, infatti, da un lato, la vicenda della Città Intelligente si risolverà nella sintesi tra aspetti tecnologici e istanze umanistiche, da un altro verso, sono le competenze richieste da questa Intelligence (che concernono pure la lotta alla Illegalità) a presupporre la comparsa di altre professionalità, coerenti con la natura dei prodotti.
È chiaro, poi, che la distinzione tra investimento in conto capitale e in spesa corrente, laddove prevalga il Ciclo di Vita, l’istituto della Concessione, la Servitizzazione dei Manufatti, viene probabilmente a essere opinabile e, di conseguenza, anche i dividendi politici legati ai Lavori Pubblici potrebbero mutare.
Qui si ritrova, dunque, la Centralità della Progettualità, in una prospettiva diversa da quella della Centralità del Progetto, in quanto occorre riqualificare la Committenza, reinventare filiere integrate di Progettisti, Produttori e Costruttori e, soprattutto, immaginare Forme di Servizio che coinvolgano Gestori e Utenti.
Tutto questo legittima il fatto che la Digitalizzazione dell’Ambiente Costruito non possa avvenire al di fuori dell’Agenda Digitale Italiana.