di Giovanni Salvarani

sportingmirasoleAbstract

La segregazione residenziale è fortemente legata alla stratificazione socio-professionale. Nonostante l’Italia non sia stata ancora toccata da forme di forte isolamento spaziale come le gated communities americane, sono presenti, soprattutto in Lombardia, alcuni esempi di quartieri residenziali che si pongono l’obiettivo di ridurre la mixité sociale e creare una comunità che condivide non solo una condizione socioeconomica simile, ma anche la medesima mobilità sociale. Anche Parigi è caratterizzata da quartieri fortemente segregati, seppur con una diversa composizione delle classi superiori e della divisione sociale dello spazio. Questo articolo cerca di comparare le due realtà, mostrandone le eterogeneità.

 Il dibattito sulla segregazione sociale nelle città è un tema poco presente nella sociologia italiana, a differenza di quanto accade invece in quella francese.

La domanda di partenza di questa inchiesta indaga l’esistenza di gated communities nella penisola italiana, in particolare quelle comunità abitative comunemente presenti nel Nord America. Attualmente in Italia non sono presenti vere e proprie comunità di questo tipo, ma esistono realtà ben più complesse riscontrabili soprattutto nell’area metropolitana di Milano.

I sociologi Bruno Cousin e Edmond Préteceille hanno studiato a fondo la divisione sociale dello spazio di due città europee comparabili fra loro: Parigi e Milano. Per fare ciò è stata necessaria una ricca descrizione della struttura sociale delle due metropoli e la localizzazione residenziale della società, suddivisa per categorie socioprofessionali.

A Parigi la percentuale della popolazione appartenente a categorie superiori risulta essere due volte più elevata rispetto a Milano. Quest’ultima è caratterizzata invece da un numero nettamente superiore di classi popolari. La metropoli lombarda presenta, infatti, quasi il doppio di operai qualificati (tendenzialmente facente parte del settore manifatturiero, composto in generale da piccole imprese) rispetto alla capitale francese. Il minore sviluppo del terziario avanzato e dell’alta tecnologia porta ad un’organizzazione del lavoro meno complessa, di conseguenza anche meno gerarchizzata: le professioni intellettuali e artistiche, quelle scientifiche, così come i quadri d’impresa e gli ingegneri sono due volte e mezzo in meno che nella metropoli parigina.

Per quanto concerne l’identificazione delle unità spaziali, si può notare come le classi superiori (in particolare i quadri d’impresa) sono situate, nella metropoli lombarda, in quartieri come Segrate (San Felice e Milano 2), Basiglio (Milano 3) e in comunità residenziali a nord-est della città, in prossimità del parco di Monza (Arcore, Lesmo). Dall’altra parte, la popolazione prevalentemente operaia e artigiana si concentra in spazi periferici della seconda corona, precisamente al limite nord-ovest della provincia, corrispondente al distretto della Brianza, area industriale più produttiva.

Facendo una comparazione, con appena un decimo della popolazione attiva costituita da categorie superiori, Milano non possiede abbastanza imprenditori, dirigenti, quadri e professioni intellettuali perché la loro concentrazione corrisponda a quartieri esclusivi quanto quelli che si trovano a Parigi. Nella metropoli del Nord-Italia il 40,1% degli attivi delle categorie superiori si concentra nel 14,3% degli spazi più borghesi, di cui queste stesse categorie rappresentano dal 22,4% al 37,8% della popolazione locale; mentre a Parigi la loro concentrazione media supera il 39%, fino ad arrivare addirittura al 49,5% per la categoria superiore più alta.

Al contrario dell’altra metropoli la composizione della popolazione milanese fa sì che i ceti popolari risiedano per il 65% in spazi medio-popolari, dove sono predominanti e sovra rappresentati. Un’altra differenza rilevante fra le due città riguarda la posizione residenziale dei disoccupati e delle professioni più dequalificate: mentre a Parigi coincide con i quartieri operai, a Milano corrisponde invece a spazi dove si concentrano gli impiegati più poveri del settore pubblico.

Nella capitale francese, come nel capoluogo lombardo, invece, professioni intermedie e impiegatizie sono le categorie che presentano gli indici di segregazione più deboli, così come i quartieri della classe media sono innanzitutto degli spazi socialmente misti. Le categorie socioprofessionali intermedie, che costituiscono a Parigi e a Milano il nocciolo centrale dei ceti medi, sono presenti in tutti i tipi di spazi: 1/6 del loro effettivo abita negli spazi superiori, 1/3 in quelli medio-superiori, 1/3 in quelli medio-popolari e 1/6 in quelli popolari.

Nella regione dell’Île-de-France è presente un’importante polarizzazione fra lavoratori del settore pubblico e del settore privato, del tutto assente a Milano: una differenza dovuta in parte al fatto che i dirigenti, i quadri, le professioni amministrative, gli impiegati e gli altri agenti dei servizi pubblici rappresentano solo il 4,2% (contro il 10,0% a Parigi).

Cousin ha scelto il settore de La Défense, a Parigi, e quello di Segrate, a Milano, ed ha iniziato una ricerca etnografica per approfondire più da vicino le realtà e i meccanismi di segregazione. Entrambe le aree possiedono “quartieri rifondati”, ovvero zone residenziali nate da operazioni immobiliari su luoghi precedentemente industriali o popolari. Molto spesso queste pratiche di costruzione edilizia non tengono conto della memoria dei luoghi precedenti, che sono semplicemente ripopolati da nuovi abitanti. A differenza dei quartieri “gentrificati”, in cui si investe su spazi popolari appropriandosi materialmente e simbolicamente della memoria collettiva e culturale del luogo, i residenti dei quartieri rifondati spesso ignorano il passato dell’area su cui abitano. Nei quartieri di Milano 2 e San Felice la maggior parte dei domiciliati che vivono lì da più di trent’anni continuano a credere che le loro case siano state costruite su dei terreni agricoli. La completa cancellazione della memoria del luogo si accompagna spesso a una reinvenzione dell’identità locale. Questa pratica viene utilizzata per evitare che si definisca l’area come un “quartiere di plastica” o un zona residenziale posticcia e artificiale.

Un esempio in controtendenza è quello di Cascina Vione a Basiglio, provincia di Milano. Questo borgo fortificato, risalente ai primi del ‘300, è stato recentemente ricostruito per fare spazio ad un complesso abitativo che costituisce di fatto un enclave, con un muro di cinta e sorveglianza ventiquattrore al giorno con telecamere. In questo caso, facendo leva sul senso di comunità e “buon vicinato” ormai perduti in città, ci si è appropriati di una memoria storica precedente per vendere, assieme alle abitazioni, una sensazione di sicurezza e di silenzio impossibili da trovare nella metropoli.[1]

Abitare in un quartiere rifondato permette di avere un vicinato socialmente omogeneo, motivato da un comune rifiuto di essere esposto alla diversità e a eventuali sorprese. La città, il centro sono vissuti come una minaccia alla tranquillità e alla sicurezza domestica. Questi quartieri sono dunque spazi inoffensivi, grazie alla neutralità e la somiglianza socioeconomica di chi li abita.

Vivere nel quartiere rifondato appare quindi come una metamorfosi della paura di essere esposti: esposti alla sorpresa, all’insicurezza, al “nuovo” ma soprattutto al “diverso”. Questi spazi non offrono mai nulla di inatteso, perché tutto è stato intenzionalmente pianificato, stabilito precedentemente e imposto a coloro che vi abitano: i posti di vigilanza agli accessi principali, i portieri all’ingresso di ogni edificio, le guardie giurate e armate che controllano il perimetro del quartiere, ma anche la portineria centrale, la chiesa locale, il centro civico municipale, gli spazi per i bambini, l’associazione dei pensionati, la biblioteca e persino il circolo sportivo. In questo modo, gli abitanti dei quartieri rifondati si convincono di essere membri di una comunità che condivide non solo condizioni socioeconomiche simili, ma anche le medesime aspirazioni in termini di mobilità sociale. Milano 2 possiede le proprie scuole materne, le elementari e il liceo. Quest’ultimo, frequentato quasi completamente delle famiglie del quartiere, dipende dal centro ospedaliero e universitario “San Raffaele”, una prestigiosa istituzione sanitaria a livello nazionale. continua…..( seconda parte )

Fonti:

[1] Jenner Meletti, Cancelli, mura di cinta e telecamere: le città con il ponte levatoio, La Repubblica, 20/01/2011

http://www.repubblica.it/cronaca/2011/01/20/news/cancelli_mura_di_cinta_e_telecamere_le_citt_con_il_ponte_levatoio-11435031

TGR Lombardia Il Settimanale, Speciale su Cascina Vione, RAI – http://youtu.be/83q3dGSC1i4