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Oggi pubblichiamo l’intervista fatta all’Onorevole Claudia Mannino, segretaria dell’ufficio di presidenza della Camera dei Deputati, laureata in architettura, master di secondo livello in “gestione e innovazione delle medio piccole imprese”. Si è occupata tra l’altro spesso di tematiche ambientali e di smaltimento dei rifiuti.
Onorevole qual è lo stato dell’arte e la gestione dei rifiuti in Italia?
Noi come Movimento Cinque Stelle abbiamo presentato quattro proposte di legge separate, che – di fatto – rivedono interamente quello che è il testo principale – il testo unico sull’ambiente, il 152, che riguarda anche la gestione dei rifiuti. Però, anche per semplificare, senza entrare troppo nei tecnicismi, sappiamo tutti che la gestione dei rifiuti è gestita a livello europeo, le linee guida, le direttive e i regolamenti, vengono decisi direttamente dall’Europa.
Ma vi sono due ordini di problemi: Il primo è quello di interpretazione delle direttive da parte del nostro Paese, perché dal mio punto di vista, le direttive lette nel loro complesso, sono tutte pensate e scritte per orientare la comunità a una riduzione della quantità di rifiuti e non ad una mera gestione o addirittura a premiare chi più differenzia e quindi indirettamente innescando un processo di maggiore produzione dei rifiuti stessi.
Mi spiego meglio, da un lato abbiamo un’evoluzione industriale che ha preso una strada non proprio orientata alla riduzione dei rifiuti e che invece dovrebbe produrre meno scarti, riprogettando il suo ciclo produttivo e dall’altra, invece, gli stati che alla luce del quadro delle direttive europee, dovrebbero orientarsi verso una riduzione della produzione dei rifiuti, in modo tale da ridurre gli inquinanti, orientandosi ad una economia circolare, due tendenze discordanti, che rendono molto difficile l’adeguamento.
L’altro problema è quello della cecità politica, nel senso che il nostro è il quarto Paese – se non ricordo male – per numero di parlamentari in Europa: siamo quelli che numericamente ne abbiamo di più: 73. Prima di noi c’è la Francia, la Germania e la Gran Bretagna(alla luce della Brexit diverremo il terzo paese), quindi vuol dire che, in termini di votazione, se tutti i parlamentari italiani fossero presenti e coesi nel votare quelle norme che meglio di adeguano allo status dell’Italia, la loro votazione o comunque il loro lavoro su una determinata direttiva, dovrebbe avere un peso notevole.Ma così non è.
La mia impressione dopo tre anni di esperienza, è quella che l’Europa fa una cosa e i nostri Europarlamentari difficilmente si confrontano con il governo nazionale per incentivare l’adeguamento in tempi rapidi, vi è una mancanza di coordinamento e poi richiediamo proroghe su proroghe, senza portare avanti le decisioni prese anche dai nostri stessi Europarlamentari.
Questo, banalmente, è il riflesso di come siamo abituati noi a fare politica, cioè da un lato ci lamentiamo sempre senza entrare nel merito delle questioni con dovuto anticipo e dall’altro non siamo in grado di cooperare.
Molti rallentamenti, però, derivano anche dal fatto che noi non facciamo più programmazione a media-lunga scadenza; non abbiamo un piano nazionale dei rifiuti, cioè non come un cittadino se lo possa immaginare: abbiamo delle grandi linee che poi le regioni interpretano a loro piacimento e con i loro tempi; (nella migliore delle ipotesi si assiste a pianificazioni triennali, come se tutto fosse commisurato alla durata della legislatura, quando prima la programmazione era una visione di un Paese che andava a prescindere dal partito di governo, perché non è che le industrie o la vision di un paese cambiano ogni 5 anni). Queste considerazioni ovviamente valgono anche per la gestione dei rifiuti, che, se va bene, in un triennio ha messo insieme una parte di azioni da fare e ha iniziato a realizzare tutta una serie di infrastrutture, ma non è che poi tra tre anni, cambia il ministro cambia l’assessore, cambia orientamento e si ricomincia tutto da capo;
–Ad esempio, – in questo momento stiamo ritornando a un piano nazionale degli inceneritori, quando l’Europa ci dice che non ne finanzierà più, anche perché ogni direttiva europea adottata è sempre stata accompagnata da un pacchetto di finanziamenti per realizzare quella direttiva, la direttiva sui rifiuti è stata realizzata già due programmazioni fa, e l’Europa dice: “io li ho già dati gli incentivi, tu non hai realizzato le opere per vari motivi, adesso basta!” Invece abbiamo un Paese che pensa ancora agli inceneritori…
Per carità abbiamo un problema della non gestione del problema, ma che è legato a tutta una serie di mancate scelte che si fanno in questo Paese, sia a livello centrale che a livello periferico che vanno dal baratto, dal vuoto a rendere, dal coinvolgimento delle imprese della progettazione dei prodotti e da tutto il ciclo della distribuzione, alle scelte dei piani regionali, comunali e, nonostante le direttive e le leggi, ancora molti non hanno nemmeno superato la prima decisione.Come paese ci siamo dati degli obiettivi di raccolta differenziata che sono ben lontani dall’essere raggiunti, questo comporta l’aumento nei costi di gestione ed è per questo motivo che ad esempio ho presentato nella provincia di Palermo degli esposti alla corte dei conti per danno erariale contro quegli amministratori che non si adoperano per il raggiungimento degli obiettivi previsti dalla legge
Tempi biblici insomma?
Ci sono realtà che l’hanno fatto, anzi ci sono Paesi che in una nuova direttiva vedono un momento di sviluppo, noi invece lo vediamo come un problema. C’è la paura di innovarsi e semplicemente, a volte, ho come l’impressione che devi garantire a chi fare realizzare alcune cose, per accontentare tutti, ma non funziona così!
Cosa proponete per migliorare la situazione italiana su questo versante e quali paesi sono, secondo Lei, da prendere d’esempio?
La proposta che noi abbiamo fatto e che abbiamo da sempre sostenuto è quella della strategia rifiuti zero.
Oggi è già indicativo che un governo nazionale critichi tale strategia, perché la interpretano in termini burocratici alla lettera, fino a quando non produci più rifiuti. Basta avvicinarsi a questa teoria di buon senso per comprendere che non dice assolutamente questo, la strategia rifiuti zero è volta a ridurre il maggior numero di rifiuti possibili, verso tutte quelle aree che poi possono causare il danno ambientale, come ad esempio i prodotti che non sono separabili, per poi recuperarli e comunque produrre un altro determinato prodotto.
Produrre, inoltre, consuma energia e, siccome non siamo stati capaci di avviare delle ricerche dal punto di vista energetico, che ottimizzino le nostre capacità, allora, dobbiamo fare tesoro di quello che abbiamo e di tutto quello che produciamo e che immettiamo nel mercato.
Dovrebbe essere un interesse nazionale questo, non le infrastrutture strategiche dei gasdotti o degli inceneritori, così come è stato fatto dall’articolo 35 dello sblocca Italia, ma il primario interesse dovrebbe essere, a livello nazionale, quello di ottimizzare le riserve per il minore impatto ambientale, partendo dal risparmio.
Le buone pratiche anche in Italia ci sono state, però, ovviamente, a fronte delle realtà fortemente burocratizzate, spesso poi questi progetti falliscono, perché quando sono anche circondate da una cecità amministrativa, hanno serie di difficoltà ad essere portate avanti.
Noi citiamo sempre l’esempio di una città come San Francisco, che è grande quanto la metà della Sicilia occidentale ed è riuscita a raggiungere percentuali di raccolta differenziata eccezionali. E’ riuscita ad attivare dei laboratori del riuso, ad attivare dei mercati per famiglie indigenti, di recupero di materiali di secondo e terzo utilizzo e ha avviato tutta un’attività artigianale che ha messo al lavoro associazioni, disoccupati, ex galeotti ecc. Però questa cosa facciamo finta di non vederla, anche se quando andiamo a San Francisco ci piace vedere che è pulita.
In Germania hanno imposto, ad esempio, che in alcune zone la carta si differenzi in 7 tipi di carta, questo è un impegno dal punto di vista organizzativo, però evidentemente lo fanno perché gli conviene, non perché vogliono far impazzire le persone; qui invece la raccolta differenziata viene vista come una difficoltà, come un problema.Infine in Italia abbiamo un grande problema che è quella dei consorzi in particolare mi riferisco al CoNaI che da una parte decide il contributo che ai territori viene o meno riconosciuti in base agli obiettivi di raccolta differenziata, dall’altra, lo stesso consorzio si ostina ad seguire solo la filiera dei rifiuti da imballaggio mentre abbiamo tanti altri tipi di rifiuti.
Grazie, buon lavoro!