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di Valentina Fortin

primo-articolo-valeL’Italia sta percorrendo una fase di cambiamenti determinanti, dovuti alle diverse riforme strutturali e alle diverse misure di politica economica europea. È evidente che tali contesti (nella fattispecie socio-politico ed economico) influenzano, e in modo anche piuttosto diretto, regole e modalità di sviluppo del mercato immobiliare ed è per questo che per monitorarlo partiremo proprio dal ritratto fornito dall’Istat sulle prospettive economiche dell’Italia, a loro volta condizionate dai recenti provvedimenti emanati dal Governo e contenuti nella Legge di Stabilità.

Cominciamo tornando un po’ indietro. Nel 2013 non abbiamo avuto un solo indicatore positivo, nel 2014 qualcosa ha cominciato a muoversi, ma poi “la gelata” della seconda parte dell’anno ha bloccato la domanda. La stima del CRESME indica che nel 2015 abbiamo assistito ad una nuova fase di crescita e, benché la ripresa non sia stata ancora definitiva, anche nei settori più colpiti si è verificata una limitazione dei tassi negativi. La caduta non è più così verticale… si è ammorbidita e se i fattori esterni continuano ad aiutarci, invece di colpirci, lo scenario è volto al cambio rotta.

Non c’è dubbio quindi che il 2015 può essere considerato come l’anno della svolta. Nonostante il fatto che a livello internazionale è stata l’incertezza a farla da padrone: la minaccia del terrorismo, la Brexit, la reale entità del rallentamento dell’economia cinese, la crisi Ucraina, la questione greca, il crollo dei prezzi delle commodity, le difficoltà di Brasile e Russia, l’indebolimento del commercio mondiale, la questione rifugiati, i terribili attentati di Parigi.. tutto questo si è tradotto in un clima di esitazione che si è riflesso nella volatilità dei mercati finanziari e sulle aspettative di crescita economica. Eppure, a differenza degli anni passati, l’anno scorso verrà ricordato come il primo post-crisi in cui le previsioni per l’economia italiana sono state sistematicamente riviste al rialzo.

Ma forse la lettura più interessante di quello che sta succedendo in Italia viene dal Bollettino sulla Stabilità Finanziaria della Banca d’Italia di novembre 2015, in cui dicono…

“Si accentuano i rischi globali”          

“in Italia la ripresa economica contribuisce alla stabilità”   

“si è interrotta la flessione dei prezzi degli immobili”        

“diminuiscono i rischi per le famiglie”

“si riduce il numero di aziende vulnerabili”             

“le condizioni di liquidità dei mercati italiani sono tornate distese!”

“le condizioni delle banche italiane non migliorano e si riduce l’esposizione al rischio di tasso”.

E a questo punto arriviamo al 2016 in cui pesano ancora incertezze alimentate, oltre che dal rallentamento degli scambi internazionali, anche dalle turbolenze dei mercati finanziari, connesse al rialzo dei tassi statunitensi e a diffusi timori sul settore bancario in Europa. È quanto ha evidenziato il rapporto della Corte dei conti sul coordinamento della finanza pubblica.

L’Istat sta diffondendo la stima preliminare in cui comunica che il Pil è rimasto invariato nel periodo aprile-giugno sul trimestre precedente ed è aumentato dello 0,7% su base annua. La variazione acquisita per il 2016 del Pil italiano (ossia la crescita annuale che si otterrebbe in presenza di una variazione congiunturale nulla nei restanti due trimestri dell’anno) è pari a +0,6%.

Durante l’anno molteplici segnali positivi si sono alternati. Hanno sicuramente contribuito i fattori esogeni, come il guadagno di competitività dovuto al deprezzamento dell’euro e il calo dei corsi petroliferi, ma la fiducia di imprese e consumatori è da considerarsi l’elemento centrale. Ne ha beneficiato la progressiva ripresa di consumi e investimenti che, unita ai segnali positivi provenienti dal mercato del lavoro ha indotto il vicepresidente della Commissione UE Dombrovskis a dichiarare che “la ripresa in Italia è sempre più autosufficiente e meno dipendente da fattori temporanei come indebolimento dell’euro, calo dei prezzi petroliferi e allentamento della politica monetarie BCE”.

In questo contesto così rivoluzionario, come si posiziona il mercato delle costruzioni?

Nel 2015 su un valore della produzione dell’intero settore, che il Cresme ha stimato pari a 163,6 miliardi di euro, la spesa in interventi di manutenzione straordinaria e ordinaria si è attestata sui 117,9 miliardi di euro, pari a circa il 72%. L’Ance ha previsto per il 2016, su questi dati, un aumento dell’1% in termini reali degli investimenti in costruzioni che interrompe il trend negativo in atto dal 2008. Sempre secondo l’Ance la proroga al 31 dicembre 2016 dei bonus per riqualificazione energetica, antisismica, ristrutturazione e acquisto mobili porterà ad un aumento dell’1,5% degli investimenti in recupero abitativo su base annua.

La vera sfida, ora, è contribuire a riempire questo nuovo ciclo con forti processi innovativi, in grado di fare delle costruzioni uno dei motori del cambiamento.

L’investimento oggi è la variabile decisiva del cambiamento, il nodo è quale tipo di investimento: “gli investimenti fissi – scrive l’economista Visco – sono la cerniera tra domanda e offerta. Sospingono il reddito con il meccanismo dell’acceleratore, ristrutturano l’offerta incorporandovi il progresso tecnologico e adeguandola a nuovi contesti competitivi”.

Perdita di stabilità, incertezza, messa a rischio del futuro sono i grandi temi che rendono difficile le condizioni di base per gli investimenti, ma proprio gli scenari di cambiamento e la crescente insicurezza nelle economie emergenti, rendono le economie avanzate più interessanti.