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Oggi pubblichiamo l’intervista fatta a Marco Marcatili, Economista di Nomisma, dal 2016 Responsabile Sviluppo dell’Area Immobiliare Territorio e Ambiente, che si occupa di sviluppare i nuovi prodotti e servizi legati anche ad una rinnovata modalità di sviluppo immobiliare, oltre che ad accompagnare la committenza a dotarsi di strumenti adeguati.
Nomisma è una società di studi economici fondata nel 1981 per iniziativa del Presidente Romano Prodi, poi nel corso degli ultimi anni ha assunto le caratteristiche e la connotazione di una società di servizi e consulenza nei settori Immobiliare Territorio e Ambiente, Agro-alimentare, Industria e Internazionalizzazione, Pubblica Amministrazione ed Economia Sociale.
Rigenerazione urbana, qual è lo stato dell’arte nel nostro paese?
Abbiamo particolare consapevolezza che il “mondo” immobiliare, per come lo abbiamo conosciuto sino ad ora, non tornerà più. Questo settore era stato pensato nel passato come a se stante rispetto alla filiera manifatturiera e tecnologica e molto fondato sulla cattura del valore immobiliare e sulla rendita, tuttavia mantenere quegli stessi livelli di prima non sarà più possibile e non ci sarà più la stessa modalità di creare valore nell’immobiliare come un tempo e l’evoluzione dei sistemi produttivi internazionali ci impone una visione più cross settoriale.
Percepiamo sempre di più come il settore immobiliare non possa più costituire una risposta, ma sia uno strumento alle esigenze di sviluppo.
In questo senso la tematica immobiliare è sempre più collegata a una riflessione su tematiche quali lo sviluppo industriale, di mobilità, logistica, agricola e quindi a quali sono le necessità reali dei contenitori e degli spazi per rispondere meglio a questo tipo di esigenze.
Fino ad oggi abbiamo vissuto una fase molto guidata e governata dall’offerta, in cui la domanda in qualche modo recepiva tutto quello che l’offerta presentava, mentre ci aspetta una nuova fase guidata dalla domanda, in particolar modo da quella collettiva o di interesse sociale che esprimerà nuove esigenze anche su rigenerazione e rifunzionalizzazione di aree dismesse. Avremo davanti una grande sfida comune il cui oggetto sarà la trasformazione territoriale di tutti i patrimoni critici che abbiamo costruito in Italia, senza rispondere a una visione strategica e senza un’ idea di programmazione.
Il Sud delle Marche, area, come saprete, sismica, mi ha dato i natali e per tutto quello che sto dicendo, può essere di esempio sul tema della ricostruzione delle aree colpite dal terremoto. Pensare che l’immobiliare possa dare un contributo alla ricostruzione, solo perché ricostruiamo gli stessi contenitori di prima, rischia di essere fuorviante, si apre invece una fase in cui bisogna coniugare la ricostruzione dei contenitori con le nuove esigenze della comunità in una idea di ricostruzione sociale l’immobiliare non può che essere braccio operativo e strumento di una riflessione sul futuro dei piccoli centri colpiti dal terremoto.
Futuro delle città e sostenibilità ambientale, cosa emerge dalle vostre ricerche?
Non c’è traccia di rigenerazione urbana, quantomeno in Italia, se non escludendo location come Milano, ma anche Torino e Bologna dove si è fatta magari molta più “agopuntura” urbana.
Se andiamo a prendere la gran parte del territorio italiano (99,7% di Comuni con meno di 60mila abitanti dove vivono quasi il 70% della popolazione italian), costituito da location secondarie, piccole e medie città, e in molti casi da aree interne, non c’è ancora quella capacità, robustezza e forza, per attivare processi di rigenerazione urbana. Tuttavia, riscontriamo particolare attenzione sull’opportunità di riconnettere lo sviluppo urbano alla necessità di reindustrializzazione, di far tornare queste città-territorio ad essere vive ed attrattive. Ciò, pone una grande sfida alla rigenerazione urbana perché se fino a ieri abbiamo vissuto una grande fase di espansione o di trasformazione territoriale, dove le imprese immobiliari potevano applicare i loro meccanismi, di cattura del valore nel piano economico finanziario, la rigenerazione urbana lancia al mondo dell’impresa e della finanza nuove sfide.
La prima è con quale valore finanziare la rigenerazione urbana? Se non è più possibile contare sul valore immobiliare, dobbiamo valutare la rigenerazione urbana alla stregua di un servizio ecosistemico, cioè di un sistema di azioni e interventi che creano valore sociale, valore pubblico, valore ambientale, ma non è immediatamente “monetizzabile”nel piano economico e finanziario. Quindi la rigenerazione urbana, seppur sostenibile sul piano economico, diventa insostenibile se la pensiamo dentro a schemi finanziari rigidi, come quelli a cui il “vecchio mondo” ci ha abituato.
La seconda sfida è il business plan che è uno strumento che aveva una suo fondamento nel passato, ma che nel futuro fatica ad avere una sua spendibilità. Costruire un business plan della rigenerazione significa prevedere oggi quali potranno essere i flussi di cassa da qua a vent’anni. Essendo la rigenerazione una start-up di territorio non si hanno garanzie o certezze se non per quei pochi interventi innesco che potrannno avviare la strart-up. I processi rigenerativi, infatti, non sono finanziabili sui flussi di cassa, ma vanno valutati su altre variabili meno oggettive e più di interesse sociale.
La terza sfida, in parte conseguente alle prime due, è che lo sviluppatore della rigenerazione urbana non può essere il classico sviluppatore immobiliare. Per rigenerare pezzi di città,per scovare risorse endogene, in grado di fornire nuovi spunti per la riorganizzazione del territorio, forse bisognerà anche pensare di costruire nuove governance e nuove soggettualità complementari a investitori sovra-locali alla ricerca di prime location o opportunità speculative. La quarta sfida è che a questo punto non servono neanche più i piani di fattibilità, ma dovremmo inventare nuovi strumenti strategici e flessibili più adatti dinamiche della rigenerazione che a quelle dell’espansione.
A tuo parere quali sono le misure necessarie per migliorare la qualità della vita nelle nostre città?
Dal nostro osservatorio di accompagnamento allo sviluppo delle realtà urbane riscontriamo un forte e diffuso interesse a far ritornare le città centri di produzione.
Il futuro delle città, oggi, si misura e dalla capacità di attrarre nuovi produttori, i nuovi creativi, quelli che fondano attività economica nuova sulla quale innestare una capacità istituzionale e comunitaria di restituire un futuro alla città.
La sostenibilità non è solo ambientale, ma anche su altri piani. Si pensi ad esempio al degiovanimento, un processo per cui i giovani, ad un certo punto sono costretti ad allontanarsi dalle loro città perché non hanno la possibilità di sostenersi rimanendo nel luogo di origine e questo spesso porta all’invecchiamento e in alcuni casi alla sparizione di alcuni centri. Inoltre pensando che continuando cosi una grossa fetta della popolazione sarà in età avanzata, bisognerà ripensare anche le città e i servizi in tal senso.
Quindi credo che le priorità, per uno sviluppo territoriale “sostenibile” siano: nuove socialità, mobilità, nuovi centri di attrazione per investitori e costituzione di nuove industrie.
In sintesi dobbiamo riuscire a coniugare innovazione e tradizione per fornire valore e slancio ai nostri territori.
Grazie Marco, a te e a Nomisma, buon lavoro!